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Massimo FAVENTO – Violoncello, Corrado GULIN – Pianoforte Presentazione al Concerto : Fantasie e Parafrasi d’opera dell’Ottocento per violoncello e pianoforte gulin_favento.jpg (6701 byte) Nel corso di quest’anno, il 2001, l’attenzione culturale musicale sia italiana, che internazionale, è impegnata soprattutto nelle Celebrazioni del Centenario della morte di Giuseppe Verdi. E’ il caso però di notare come il 2001 coincida anche con il Bicentenario della nascita di Vincenzo Bellini , anima del Melodramma e del Belcanto italiano e compositore di riferimento per lo stesso Verdi e per tutta la generazione dei grandi operisti dell’Ottocento. Ci sembra quindi più che dovuto proporre un omaggio anche al grande autore siciliano, morto improvvisamente all’apice del successo, e a soli trentaquattro anni di età. Nelle maggiori città italiane come in quelle dell’Impero Asburgico, a Gorizia come a Trieste, come anche a Parigi, Londra, ecc. vi era nell’Ottocento la consuetudine assai diffusa di presentare in forma cameristica le migliori pagine dell’Opera Lirica, che in quei tempi coinvolgeva e trascinava l’opinione pubblica nei Teatri. L’Ottocento è un’epoca in cui il Teatro e l’Opera avevano il ruolo di mezzo di informazione e di espressione non diversamente da quanto accade oggi con la Radio e la Televisione. Quindi Opera e Teatro incidevano sul costume, sulla politica e anche, nonostante possa sembrare incredibile, sull’identità nazionale e individuale della società ottocentesca. Presentare quindi le musiche dell’Opera nei caffé, nei salotti, alle manifestazioni conviviali, durante i banchetti e nei più vari luoghi d’incontro, era diventato un uso non banale. Trascrittori con adeguate conoscenze compositive, contrappuntistiche e stilistiche, come i vari Stransky, Dotzauer, Ketterer, Dacci, Leybach, ecc. a cui ci si è rivolti per il concerto odierno, crearono quindi un genere, il pot pourrì appunto, che riuscì a ritagliare per sé il proprio spazio sia editoriale sia d’esecuzione per piccole formazioni che andavano dal pianoforte solo al duo per violino o violoncello e pianoforte, dal trio con pianoforte e il pianoforte a quattro mani all’Orchestra da Sala. Conseguentemente e, probabilmente, per esigenze di diffusione commerciale, si sviluppò la composizione originale sui temi famosi dell’Opera. E qui la contaminazione fu tale che anche i più grandi compositori furono ammaliati dal genere: basta citare ad esempio Liszt, Busoni ecc . In un’epoca come quella attuale, dove regna spesso incontrastato l’approccio strettamente filologico al mondo del passato, descrivere questo periodo e queste tendenze di genere è arduo e pericoloso. Lo scopo di questo progetto non è quello di presentare la trascrizione per se stessa o il brano originale su temi famosi d’Opera bensì quello di ricreare l’atmosfera sia evocativa sia interpretativa in cui il messaggio della Lirica veniva citato nei luoghi d’incontro sopra indicati al di fuori del Teatro con lo scopo di rievocare palpiti, singulti, gioie e dolori dell’Universo teatrale tanto sentito in quei tempi. Il successo del Belcanto a Gorizia, come a Trieste e nel resto dell’Impero Asburgico, era stato, generalmente travolgente. L’ affare della trascrizione (si può veramente chiamarlo così!) fu gestito in maniera completa: ciò avvenne senza limiti, pudori nazionalistici e controversie linguistiche quasi a voler dimostrare quanto il messaggio dell’Universo teatrale non conoscesse confine o limite per la fruizione quotidiana, al di fuori dei grandi dibattiti intellettuali, e, quasi per assurdo, contemporaneamente all’evolversi del concetto delle Scuole Nazionali. Fu una moda e come tale si intende qui presentarla. Il concerto del Duo Favento – Gulin, si aprirà con Norma , una delle più famose opere di Vincenzo Bellini , capolavoro e testimonianza concreta della definitiva affermazione nel firmamento musicale del Belcanto italiano del compositore siciliano. Bellini è stato uno dei primi compositori italiani a legare il proprio nome quasi esclusivamente al mondo del Teatro Lirico. La fortuna che ebbe la musica di Bellini e il suo stile per tutto l’Ottocento, fu tale che il saccheggio intrapreso da trascrittori e improvvisatori contribuì non poco a rendere Bellini un classico e il suo stile un paradigma del Teatro musicale. Norma , tragedia lirica in due atti, venne rappresentata la prima volta alla Scala di Milano il 26 Dicembre 1831. Il soggetto fu tratto dalla tragedia Norma, ovvero l’infanticidio di Soumet, dal librettista Felice Romani che si era già dedicato a questo vicenda nel 1820 con la Sacerdotessa d’Irminsul del compositore Pacini; appartiene quindi al filone dell’opera caratterizzata dai legami con la cultura classica filtrata attraverso la tradizione della tragedia francese. Nella Norma belliniana l’accento viene posto principalmente sul grande amore che la sacerdotessa Norma prova per Pollione, proconsole romano delle Gallie e padre dei suoi figli, che, sul punto di ritornare a Roma, vive un rapporto intenso e corrisposto con la giovane sacerdotessa Adalgisa che invita a seguirlo a Roma. Dopo aver appreso la notizia del rapporto tra Norma e Pollione, Adalgisa promette a Norma di vincere i suoi sentimenti e di riportare Pollione al suo amore. A Pollione succederà nella carica di proconsole delle Gallie un altro proconsole più bellicoso; per questo motivo Norma, informata dell’intenzione di Pollione di rapire Adalgisa, chiama a raccolta tutti i guerrieri Galli istigandoli contro i Romani e scegliendo come vittima sacrificale proprio Pollione scoperto nel recinto sacro delle giovani sacerdotesse. Dopo aver supplicato invano Pollione affinché ritorni al suo amore, Norma è in procinto di denunciare Adalgisa davanti ai guerrieri ma, colpo di scena (!), accusa se stessa, affida i figli al padre Oroveso, e si avvia insieme a Pollione al rogo. Nell’ambito della Parafrasi odierna i Temi presi in considerazione sono tratti dai punti salienti dell’opera belliniana: un’Aria di Pollione “Va, crudele, al dio spietato / offri in dono il sangue mio; / tutto, ah! Tutto ei sia versato, / ma lasciarti non poss’io, no, nol posso! / Sol promessa al dio tu fosti, / ma il tuo core a me si diede. / Ah! Non sai quel che mi costi / perch’io mai rinunzi a te.” Di seguito un’Aria di Adalgisa “E tu pure, ah tu non sai / quanto costi a me dolente! / All’altare che oltraggiai / lieta andava ed innocente, / sì, sì, v’andava innocente? / Il pensiero al cielo ergea, / e il mio dio vedeva in ciel! / Or per me spergiura e rea / cielo e dio ricopre un vel.” Ed infine un’Aria di Norma “Qual cor tradisti, qual cor perdesti / quest’ora orrenda ti manifesti. / Da me fuggire tentasti invano; / crudel romano, tu sei con me. / Un nume, un fato di te più forte / ci volle uniti in vita ed in morte. / Sul rogo istesso che mi divora, / sotterra ancora sarò con te.” Nella storia del Melodramma del ‘900 ricordiamo come grandi interpreti di Norma: Gina Cigna, Maria Callas, Joan Sutherland e Monserrat Caballé. Nello stesso anno, ed esattamente il 6 marzo 1831, Bellini aveva comunque già strabiliato il mondo dell’opera riunitosi al Teatro Carcano di Milano, con l’altro grande capolavoro, il melodramma in due atti dal titolo La Sonnambula . Il libretto era stato tratto, sempre oramai dal fido Felice Romani , da un balletto omonimo francese (1827) di E. Scribe, Aumer, e Hérold. E’ legata a Norma per l’affermazione del concetto di superiorità morale della donna. In questo caso è il personaggio di Amina ad affrontare con coraggio il sacrificio con l’innocenza del proprio cuore. Il melodramma in tre atti dal titolo I Puritani , è l ’ ultima opera di Vincenzo Bellini. Con il testo di Pepoli , fu rappresentato per la prima volta al Theatre des Italiens di Parigi il 24 Gennaio 1835. La vicenda è ambientata in Inghilterra ai tempi delle lotte tra i seguaci di Oliver Cromwell e i sostenitori della Corona e della dinastia degli Stuart. Tante sono le peripezie e notevoli i colpi di scena per i protagonisti: Arturo Talbo, Elvira Valton, la regina Enrichetta vedova di re Carlo I°, fatto decapitare da Cromwell, Giorgio Valton e Riccardo Forth. Il dramma che si protrae denso e burrascoso, diventa poi giubilo con la vittoria di Cromwell che concede la grazie a tutti i sostenitori della Corona. I testi dell’opera presenti nella Parafrasi sono tratti da un duetto tra Giorgio Valton e Riccardo Forth: “(G.) Il rival salvar tu dei, / il rival salvar tu puoi (R.) Io no posso. (G.) No? Tu nol vuoi. (R.) No. (G.) Tu il salva! (R.) No, ah! No, ei perirà! (G.) Tu quell’ora or ben rimembri / che fuggì la prigioniera. (R.) Sì. (G.) E d’Arturo fu colpa intera? (R.) Tua favella ormai…(G.) E’ vera. (R.) Parla aperto. (G.) Ho detto assai. (R.) Fu voler del Parlamento, / se ha colui la pena estrema; / dei ribelli l’ardimento / in Artur si domerà. / Io non l’odio, io nol pavento, / ma l’indegno perirà. (G.) No! Un reo tormento / or t’invade e acceca…ah! Trema! / Il rimorso e lo spavento / la tua vita strazierà. / Se il rival per te fia spento / un’ altr’alma seco andrà.” Il resto da un’Aria di Elvira: “Son vergin vezzosa in vesta di sposa; / son bianca ed umile qual giglio d’april; / ho chiome odorose cui cinser tue rose; / ho il seno gentile del tuo monil.” Questa opera rivolge l’attenzione all’idillio campestre rivissuto come contemplazione e malinconica rievocazione di un mondo perduto, tematica che precedeva quella della compiuta incarnazione nella tragica classica di Norma . La prima parte del concerto del Duo Favento – Gulin si chiuderà con la virtuosistica esecuzione de La Straniera . Quest’opera, precedente ai grandi capolavori del 1831, aveva procurato un grande successo per Bellini, quando andò in scena per la prima volta il 14 Febbraio 1829, niente meno che alla Scala di Milano. Attualmente questo melodramma in due atti, fa parte di quel lungo elenco delle opere poco conosciute del Belcanto italiano! Il soggetto fu tratto da un racconto di C.V. d’Arlincourt: la straniera, Adelaide, giunta in un paese vicino al castello di Mantolino, viene sventuratamente ritenuta dalla popolazione una fattucchiera. Si innamora follemente di Arturo di Ravenstal ma non riuscirà a coronare il suo sogno d’amore. Arturo, infatti, anche se corrisponde Adelaide nel suo amore, è sul punto di sposarsi con la figlia del signore del castello, Isoletta. Svanita ogni speranza, Adelaide, in un finale drammatico, si uccide. Il libretto dell’opera è di Felice Romani, il terzo del fortunato sodalizio della coppia Romani-Bellini. Appare doveroso, in una esposizione sufficientemente completa della veloce e incredibile parabola del successo di Bellini, prendere in considerazione anche opere di minor fama ma, non per questo, di minor valore musicale! Nella seconda parte del Concerto si passerà al doveroso omaggio all’opera del nostro compositore nazionale, Giuseppe Verdi . Tenuto conto del fatto che il catalogo verdiano presenta una nutrita sequenza di titoli e capolavori, per ovvie ragioni, nel contesto di questa esibizione, è stato necessario scegliere e, tra i vari possibili filoni tematici si è optato per quello che considera alcuni grandi personaggi della storia e dell’epica iberica tra Medioevo e Cinquecento che entrarono di prepotenza nell’immaginario poetico verdiano alla metà dell’Ottocento. Ernani , dramma lirico in quattro atti, fu il primo prodotto del fortunato sodalizio tra Giuseppe Verdi e Francesco Maria Piave , suo principale librettista. Andato in scena la prima volta il 9 Marzo 1844 al Gran Teatro La Fenice di Venezia, due anni dopo il trionfale successo del Nabucco, Ernani presenta alcuni caratteri tipici dell’eroe popolare del primo Verdi, anticipando aspetti caratteristici del Trovatore . E’ la drammaturgia di Victor Hugo ad influenzare il genio verdiano nella stesura di questo dramma. Oltre al soggetto stesso, Verdi trae da Hugo anche l’ambientazione notturna dell’azione scenica, l’attenzione scrupolosa alla vita pubblica e privata dei personaggi, il ritmo rapido, travolgente ed intenso di varie scene. Donna Elvira è contesa da tre uomini: il nobile Ernani, capo di un gruppo di ribelli all’imperatore, Ruy Gomez de Silva, Grande di Spagna, anziano zio di Elvira a cui è già stata promessa in sposa e Don Carlo, erede al trono di Spagna. Il vecchio Silva scopre la relazione tra Elvira ed Ernani e, già convinto dell’azione seduttrice di Don Carlo, aspira alla vendetta in ossequio alla promessa di matrimonio. In quel momento sopraggiunge la notizia che Don Carlo diventerà il nuovo Re e Silva è costretto a rinunciare e a rimandare la sua vendetta. Ernani, braccato dai soldati del Re che lo stanno inseguendo assieme agli altri ribelli, si presenta al cospetto di Silva in abito di pellegrino presso il suo castello e, non essendosi fatto riconoscere, ottiene la sua ospitalità ed il suo asilo. Il vecchio zio sorprende però la nipote Elvira abbracciata al nuovo ospite. Nonostante la profonda indignazione, appesantito dall’obbligo di far rispettare il valore sacro dell’ospitalità, con fermezza rifiuta di consegnare il ribelle Ernani al Re da poco giunto. Il re prende Elvira come ostaggio e la conduce via dal castello. Silva muove con i suoi nel tentativo di sottrarre la nipote al Re, ed accetta che Ernani si unisca a loro solo in cambio di una terribile promessa: quando Ernani udirà lo squillo del corno da caccia, donato in pegno, si dovrà togliere la vita. Carlo nel frattempo si è nascosto nei sotterranei di Aquisgrana che accolgono la tomba di Carlo Magno per poter contrastare i ribelli ed i congiurati che lo vogliono uccidere per impedire la sua elezione al trono imperiale. Tre colpi di cannone annunciano infatti la sua elezione. Colpo di scena! Al sopraggiungere dei congiurati, Carlo esce dalla Tomba dove si era nascosto, ed appare come l’ombra di Carlo Magno. Ottenuta la sottomissione dei presenti, perdona loro la condotta tenuta e, con un gesto nobile e magnanimo nel giorno della sua elezione, concede Elvira in sposa ad Ernani. In un rocambolesco e drammatico finale, il terribile Silva, chiede comunque ad Ernani il rispetto della parola data e, allo squillo del corno da caccia, lo invita ad osservare il giuramento e ad uccidersi. La parafrasi odierna si aprirà con la celeberrima Scena e Cavatina di Elvira, Ernani! Ernani involami…, proseguirà con la cabaletta Tutto sprezzo che d’Ernani non favella a questo core (Elvira) e si chiuderà con la citazione del sontuoso affresco dipinto da Franz Liszt sull’opera con la sua Concert-Paraphrase über Ernani. Ne Il Trovatore , dramma in 4 atti su libretto di Salvatore Cammarano tratto dal dramma El Trovador di Garcia-Gutiérrez (1836), Azucena, vera protagonista dell’opera, è vittima del suo stesso tragico ed inconsapevole agire. Infatti ella non riesce a liberarsi, tra sonno e veglia, tra delirio e lucida coscienza, dall’orribile rimorso che la perseguita per aver ucciso inconsapevolmente, animata da spirito vendicativo, suo figlio confuso con quello dell’odiato vecchio Conte di Luna, carnefice della madre di Azucena. In una serie incalzante di cambi di scena, azioni e roccambolesche vicende il rapporto tremendo tra Azucena e il Conte di Luna muove i destini degli altri personaggi dell’opera, soprattutto di Manrico il Trovatore, inconsapevole eroe e la bella ed infelice Leonora, principessa innamorata di Manrico ma oggetto di gelosia da parte del figlio del Conte di Luna. Questo dramma andò in scena la prima volta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma e dai contemporanei venne vista come una caduta di volgarità rispetto alla capacità di penetrazione psicologica dimostrata da Verdi soprattutto nel Rigoletto. In realtà la forza tragica dell’opera ne fa una delle più intense e vigorose pagine dell’intero Melodramma italiano dell’800. La versione odierna dell’opera si aprirà con il celeberrimo Coro degli zingari e successiva canzone Vedi! Le fosche… a cui seguirà Stride la vampa! di Azucena. La scena e il racconto di Azucena e Manrico Condotta ell’era in ceppi! precederà il grande affresco composto da Franz Liszt sul Miserere del IV Atto qui citato. Di quella pira, eroica aria di Manrico, chiuderà infine la parafrasi. L’esecuzione di Don Carlos concluderà il concerto . Quest’opera è presente nel catalogo verdiano in ben cinque versioni, in quattro e cinque atti. Nata come grand opéra in cinque atti, forma nella quale debutterà all ’Opéra di Parigi l’11 marzo 1867, l’opera sarà poi messa in scena nella versione in quattro atti, e con il titolo Don Carlo, alla Scala di Milano il 10 gennaio 1884. Il libretto è di Méry e Du Locle , la versione e traduzione italiana sono di Zanardini . Il soggetto è comunque tratto dal capolavoro omonimo di Schiller del 1787. Ennesima opera con numerosi e significativi personaggi maschili, il Don Carlos rappresenta un ulteriore slancio verdiano nell’allargamento della propria concezione drammaturgica e nella ricerca di un forte rinnovamento linguistico. La celeberrima Ella giammai m’amo! del basso Filippo II con l’altrettanto celeberrimo solo per violoncello aprirà la parafrasi odierna. Riflessione profonda sul perdono e la giustizia divina, l’intera opera narra delle vicende politiche e amorose della casa d’Asburgo di Carlo V e Filippo II di Spagna, che governa in Europa e nel mondo alla metà del XVI secolo. Don Carlos, figlio di Filippo II, amico di Rodrigo, marchese di Posa, sostenitore dell’indipendenza delle Fiandre, ama contraccambiato Elisabetta. L’amore tra i due si rivelerà impossibile in quanto le vicende dinastiche porteranno Elisabetta in sposa al padre di lui, Filippo II Re di Spagna. Sia Don Carlos che Rodrigo muoiono, rei dei propri peccati contro la famiglia e contro la nazione, Elisabetta chiede perdono mentre invoca la maledizione sulla propria beltade mentre Filippo II, probabilmente il personaggio principale dell’opera, si trova a dover gestire la situazione, chiuso nel proprio dolore, tra ragion di stato, onore, amor coniugale e filiale. La figura del Gran Inquisitore, confessore del Re contribuisce oltremodo a oscurare ulteriormente il colore e il timbro di un’opera dai caratteri pittorici quasi controriformistici e di gusto quasi caravaggesco. Alla celebre aria di Filippo II, già citata, seguirà la romanza di Elisabetta Non pianger, mia compagna.… Infine il duetto Dio, che nell’alma infondere…. di Don Carlos e Rodrigo precederà il Gran Finale dell’Atto III, Spuntato ecco il dì…, che chiuderà l’esecuzione e il concerto. Massimo Favento – Corrado Gulin
Febbraio 9th, 2007